FARSOPOLI
La più grande truffa sportiva e giudiziaria del secolo! Un gruppo di potere senza scrupoli, con l'aiuto di vari personaggi dei CC, della magistratura, dei media, hanno messo in piedi Calciopoli, sbarazzandosi della squadra e della società più forti di sempre. La verità però, piaccia o non piaccia (cit.), è venuta a galla...
martedì 21 giugno 2011
Bellissimo articolo di Andrea Scanzi da "Il Fatto Quotidiano"
18 giugno 2011
L’Inter e la “sindrome della sfigata compiaciuta”
Dopo anni di successi, torna la maledizione dello "splendido perdente". Leonardo se ne va, Bielsa dice no, si spera in Mihajlovic
“Diamogli l’Inter, così non farà troppo danni”. La vulgata secondo cui la famiglia Moratti, tra le più facoltose d’Italia, confinò il non troppo talentuoso Massimo alla prescindibile gestione del giocattolino nerazzurro, è sempre circolata. Torna di moda,ammesso che sia mai passata, ora che l’Inter sembra una volta di più la Pora Camilla: tutti la vogliono, nessuno la piglia. Leonardo andrà al Paris Saint Germain come Direttore generale, lasciando la panchina vacante. Gli allenatori dovrebbero litigare per sedercisi, ma Moratti sta collezionando un’avvilente serie di no (anche se lui smentisce). Su tutti quello di Marcelo “Loco” Bielsa, ex ct di Argentina e Cile, tratteggiato dalla stampa italiana come un mezzo matto che ha beneficiato della legge Basaglia.
Per la cronaca, Bielsa ha preferito all’Inter l’Athletic Bilbao, che non vince nulla dal governo Rumor. Si segnalano, tra i possibili rifiuti, quelli di Ancelotti e Capello. Restano, tra i papabili, Gasperini, Mihajlovic (il favorito) e Delio Rossi. Non esattamente gli Einstein della tattica. L’Inter, dopo Calciopoli, ha vinto tutto. Anche in un anno debole come la scorsa stagione, può vantare un piccolo triplete. Eppure la Sindrome da Sfigata Compiaciuta, che si vanta degli errori come un Paperino puerilmente narciso, non è stata fugata. Per la famiglia Moratti è periodo di slavine. L’ex sindaco di Milano, Letizia Brichetto in Moratti, moglie del fratello maggiore di Massimo (Gianmarco), ha perso le ultime amministrative zimbellata da tutta Italia (Red Ronnie escluso). Bedy Moratti, ex attrice e sorella maggiore, soffre per le sorti della Beneamata mostrando ciclicamente la pettinatura bicolor a Quelli che il calcio.
Nel mezzo, solo contro tutti, unico onesto (autoproclamatosi tale) in un mondo di ladri, Massimo Moratti. Nato nel 1945, presidente dell’Inter dal 1995, dimessosi due volte per depressioni varie e puntualmente tornato. Coniugato con Emilia Bossi, attivista ambientalista. Emblema del Presidente Buono, santino a uso e consumo di una gauche caviar secondo la quale anche la sua ingenuità è testimonianza di venerabile immacolatezza (e giù, retorica come se piovesse). Fino al 2006, Moratti ha sbagliato tutto. Il Luther Blissett dei presidenti. Solo lui poteva coprire di soldi la foca monaca Recoba, solo lui poteva acquistare i Caio e i Rambert, solo lui poteva sperperare un patrimonio che ne basterebbe la metà per risanare il Belize. Solo lui poteva esonerare più allenatori di Zamparini.
Grazie a Calciopoli ha collezionato scudetti e una Champions League, emulando il padre Angelo e senza mai dismettere le vesti curiali del Sognatore Integerrimo. Eventuali inciampi oscuri – Passaportopoli, ruolo di Telecom e Tronchetti Provera, pedinamenti di giocatori – vanno generosamente derubricati alla voce “facezie”. La carriera di Moratti Il Buono può essere divisa in due fasi. La prima antecedente a Calciopoli, lo vedeva divinizzato da chi si accontentava della caricatura del beautiful loser: Moratti perdeva e quindi veniva amato.
Anzitutto dai tifosi illustri, dagli intertristi Serra e Severgnini, Vecchioni e affini. Più sbagliava e più si mitizzava, secondo un’antica usanza snobistica sinistrorsa. Moratti era il contraltare politico di Berlusconi, il Don Chisciotte della pelota, anche se il protagonista di Cervantes non veniva esattamente da una stirpe di petrolieri e non risulta sia mai stato amministratoredelegato di un’azienda (Saras) che il 26 maggio 2009 ha visto morire tre operai durante “banali” operazioni di manutenzione. In quegli anni, precisamente nel 2004, la casa editrice Limina pubblicò un volumetto esilarante, Minimo Moratti, in cui si ripercorrevano tutti i disastri del presidente. L’opera, a conferma che i Buoni accettino poco cristianamente le critiche, non era firmata per timore di ripercussioni. Gli autori si celavano dietro i nick sarcastici “Roberto Carli” e “Ronaldo Crespi”, come i firmatari della biografia di Moggi – Lucky Luciano, Kaos edizioni – preferirono nascondersi dietro gli pseudonimi “Ala Sinistra, Mezzala Destra”. La seconda fase è quella dei Trionfi. Dura da cinque anni, ma non è bastata a cancellare il passato tafazzista.
Ecco perché nessuno, oggi, vuole andare all’Inter: non solo perché la squadra è “pazza” per antonomasia e inno societario, ma perché tutti conoscono l’agire masochisticamente insondabile del Padrone. La competenza non lo ha mai intaccato e la sadica Nonciclopedia lo sbertuccia impietosamente, definendolo “presidente della Banda degli Onesti”, “boss della Serie A succeduto a Luciano Moggi” e “Denti Marci”, per quella fiera allergia alla detartrasi che rimanda al Giuliano Ferrara di Radio Londra.
È come se, per un miracoloso effetto di osmosi inversa, l’Inter vincesse nonostante lui. Per alzare qualche trofeo, Moratti ha dovuto sperare nella magistratura (Calciopoli), affidarsi a un allenatore che detestava (Mancini) e consegnare il giocattolo a un uomo che non gli somigliava in nulla: supponente, carismatico, arguto, polemico, furbo, vincente. Ovvero Mourinho, ovvero la Nemesi. Moratti vive nel paradosso frustrante di dover violentare se stesso per continuare la scia di successi. È un sognatore didascalico costretto a barattare le utopie infantili con dosi massicce di real politik. Corteggia tutti, ma nessuno lo vuole. E trionfa solo quando non si comporta da Moratti: quando agisce suo malgrado. Avrebbe un futuro come prossimo leader del Partito democratico.
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